Le mie pupille quasi del tutto dilatate insieme all'iride fumoso,
ormai ridotto ad una fibra cerulea, assorbivano incessantemente
il buio incombente della stanza, interminabile; mentre il mio
corpo restava in stasi e, nonostante tentassi di liberarmi dalle
lenzuola asfissianti, non riuscivo a controllarlo.
Lasciavo immobile che l’oscurità prendesse e occupasse spazio
in me perché la subconscia e soffocata coscienza era consapevole
che se anche fossi riuscita ad alzarmi e a sciogliere le
delicate catene dell’immobilità, ugualmente non sarebbe servito a nulla:
la notte mi avrebbe soggiogata allo stesso modo,
rendendomi una massa di materia irreale.
Sentivo allora le ombre impalpabili penetrarmi e violentarmi,
allontanando inesorabilmente quel che rimaneva della mia percezione
e abbandonandomi, fredda, in un’infernale bolgia di sensi effimeri
ed irruenti, mentre l’essenza sgorgava al di fuori di me ed io la percepivo
così com’era: calda, di un rosso purpureo, vellutata.
Consumata da quell’oblio senza via d’uscita, guardo ancora verso te,
sebbene ancora una volta mi hai chiuso fuori, bagnata dalle soffici
gocce di pioggia salata in attesa di ciò che non esiste.
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