Tengo il capo pesante tra le mani, mantenendo i palmi ben accostati alle orecchie
cosicché nessun suono penetri dentro di me ma, mentre fuori regna sovrano il più
aureo dei silenzi, nella mia testa si scatena il caos che mi trafigge con i suoi pensieri
affilati e brutalizza le mie membra con le sue immagini assordanti e lacera la mia
pelle lasciandomi in tanti brandelli, in molti più lembi di quanto il mio corpo ne sia composto.
Striscio sui cadaveri delle mie emozioni straziate, che ho tentato invano di sottrarre
alla distruzione e che ora riempiono quell’abisso che divide me e la mia felicità, e mi aggrappo cercando di trascinarmi fuori dal caos ma quello vive e si nutre di me. Mi
alzo tremante e inizio a correre, sento ogni parte di me ardere come legna al fuoco,
i muscoli bruciano e l’acido logora morbidamente ed inesorabilmente la gola,
lo stomaco, il ventre e mi manca il fiato tanto da voler respirare il fumo delle ceneri
delle mie illusioni che ora giacciono sul viscido fondo della mia volontà.
Alzo lo sguardo vuoto che finora avevo tenuto basso e vedo dinanzi a me la coltre
fredda e distaccata della tua indifferenza, del tuo ignorarmi, soffocare il cielo e
gli astri delle mie speranze mentre lascio che la stessa coltre aspiri ed assapori la mia essenza ormai svuotata di ogni energia.
Consumata, disillusa, disincantata abbandono l’ultimo frammento della mia voglia e m’inchino rassegnandomi e sottomettendomi al disfacimento del mio pensiero, al male
del mio pensiero, al male di non voler mai lasciare la presa e con il bisogno di aver
ignorato te che annusavi i miei capelli, te che volevi un altro abbraccio, te che guardavi
me di spalle andare via, ma con la bramosia di conservare quei ricordi ancora dentro me.
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